Focus – Arthur Miller
Focus venne pubblicato nel 1945, tre anni prima che la messinscena a Broadway di Morte di un commesso viaggiatore facesse di Arthur Miller un drammaturgo famoso. Il libro parla della sorte sgradevolmente ironica di un certo Newman, impiegato nell’ufficio del personale di una grossa società di New York, un cauto e ansioso conformista sulla quarantina: troppo cauto per diventare concretamente il bigotto e il fanatico razzista che è nel segreto del suo cuore. Quando è costretto a portare il suo primo paio di occhiali, Newman scopre che gli occhiali mettono in risalto “la semitica prominenza del suo naso” e lo fanno somigliare pericolosamente a un ebreo. E non solo ai propri occhi. Quando la madre, vecchi a e paralitica, vede il figlio con gli occhiali nuovi, scoppia a ridere e dice: “Ehi, sembri quasi un ebreo”. Quando Newman va a lavorare con gli occhiali, la reazione alla sua trasformazione non è così benevola: viene rimosso bruscamente dal suo posto all’ufficio personale e assegnato a un umile lavoro d”impiegato, posto dal quale Newman, umiliato, si dimette. Da quel momento Newman, che disprezza gli ebrei per il loro aspetto, il loro odore, la loro grettezza, la loro avarizia, la loro maleducazione, e anche per la loro “passione per le donne”, ovunque vada è additato come ebreo. Tanto vasta, socialmente, è l’animosità che suscita da far nascere nel lettore – o così accadde a me adolescente – l’impressione che la responsabilità di tutto questo non possa attribuirsi solamente alla faccia di Newman, ma che la fonte della sua persecuzione sia una gigantesca, spettrale incarnazione del diffuso antisemitismo che lui stesso era troppo controllato per manifestare. “Aveva avuto, per tutta la vita, questa ripugnanza per gli ebrei”, e ora questa ripugnanza, materializzatasi nella sua strada di Queens e in tutta New York come in un incubo terrificante, lo allontana brutalmente – e alla fine violentemente – dai vicini da cui aveva cercato di farsi accettare col proprio obbediente conformismo ai loro odi più turpi.
Testo tratto da “Ho Sposato un Comunista” 1998 Philip Roth
Focus, 1945 Arthur Miller